domenica 31 luglio 2011

Una pizza e via: sosta napoletana sulla rotta per il Cilento

Di passaggio a Napoli per una sera diretta in Cilento, non ho resistito - supportata da un adeguato complice - ad andare a mangiare una pizza alla Notizia, la pizzaria di Enzo Coccia nella (ormai non piu' tanto) nuova sede di via Caravaggio (un po' piu' giu' della precedente, che resta soprattutto per il take away).
Troviamo un tavolo per pura fortuna, a patto di liberarlo entro 3/4 d'ora: giusto il tempo necessario per goderci una buona pizza e una birra.

Avendola gia' assaggiata, consiglio al complice di ordinare quella che secondo me' e' una pizza assolutamente geniale: una sorta di "verticale" di Margherita in una sola pizza, divisa in quattro spicchi da sottili striscioline di pasta in cui il piu' classico dei condimenti della pizza viene declinato in chiave territoriale-gourmand in piccole varianti sul tema giocando tra gli abbinamenti tra pomodoro e latticino. Se non vado errata (non l'ho riassaggiata stavolta) dovrebbero essere cosi': passata di San Marzano e fiordilatte, superclassico; pomodorino del piennolo e mozzarelladi bufala, gourmet; Pomodoro corbarino (in questo caso sostituiti con gli ottimi pomodorini semi-essiccati di Casa Barone, credo) e provola di latte vaccino; e pomodori datterini con... mmm qui mi sfugge! Comunque, e' stata molto apprezzata. 

Per me, un "fuori carta" improvvisato appunto per la manzanza dei corbarini, ma riuscitissimo: una bianca con mozzarella, ricotta e i pomodorini semi-essiccati di cui sopra. Ottima e per nulla pesante, ideale in una serata estiva.  Per entrambe, come e' giusto che sia, generosa presenza di basilico.
Da bere, una buona Syrentum del Birrificio Sorrento (che avevo assaggiato la prima volta grazie a Gennaro Esposito, e poi a Sorrento in occasione della manifestazione Birra Felix e del Premio Sirena d'Oro), una saison molto intrigante arricchita con le bucce dei limoni di Sorrento IGP, i cui il sentore agrumato si fa sentire abbastanza deciso ma non invadente.

Pizzaria LA NOTIZIA 
Via Caravaggio 53/55 
Napoli
tel. 081 7142155
www.enzococcia.it

giovedì 28 luglio 2011

Camesena, un posto da scoprire

Lo scorso week end ho fatto una breve incursione in Umbria, come sempre unendo lavoro e piacere per andare a visitare alcune realta' interessanti e a salutare qualche amico. Come al solito in queste occasioni i tempi si allungano sempre piu' del previsto e i ritmi sono un po' quelli di un toru de force, ma poi arriva il momento del relax.... Dopo un bel giro nel complesso mondo Lungarotti a Torgiano (il Museo del Vino, il Museo dell'olio, la cantina e il bel resort Le Tre Vaselle) e un salto all'Azienda Decimi  a Bettona (ho un debole per gli oli umbri e per me quelli di Graziano e Romina Decimi sono tra i migliori), finalmente sabato a pranzo e' arrivato il momento di godersi un po' questa magnifica regione nel migliore dei modi: a tavola.

Un amico mi ha portato a pranzo da Camesena, di cui mi aveva gia' parlato facendomi venire un bel po' di curiosita'. Lasciamo la macchina nella piazzetta davanti alla chiesa di Pissignano Alto (un piccolo borgo vicino a Campello sul Clitunno) e aspettiamo che ci venga a prendere la macchina del ristorante, guidata da un gentilissimo cameriere soprannominato Zapatero (dicono che gli somigli...). La strada per arrivare al borgo di San Benedetto, ribattezato Lizori, e' stretta e ripida, e soprattutto di sera (ma anche con la luce del sole) e' meglio affidarsi alla guida di...Zapatero, tanto piu' che il parcheggio sarebbe complicato. Ora, c'e' da dire che intorno al borgo di Lizori (la cui etimologia deriverebbe dall'unione di tre parole greche l cui significato e' “là dove la vita vede”), e soprattutto alla figura di Antonio Meneghetti ci sono un po' di voci strane. Certo la sua teoria dell'ontopsicologia non mi e' chiarissima, e anche la sua definizione di una presunta cucina viva ("La cucina viva è l'arte come essere dei nel gusto vivente dei metabolismi", chiarissimo no?) non mi convincono tantissimo, ma non ho approfondito abbastanza per dare giudizi. Quello che so, e' che a lui si deve il recupero di questo bel borgo abbandonato da cui ci si affaccia su un panorama meraviglioso (con le fonti del Clitunno e la campagna umbra tra Campello e Perugia) e che le sue opere - e' anche un artista - disseminate sia all'interno che all'esterno del ristorante mi piacciono un bel po'.
Daniela e Daniele

Comunque sia, Camesena vive di vita propria, e' un posto incantevole, si mangia bene e la proprietaria, Daniela Bottoni, e' una persona simpaticissima e in gamba. Si divide tra questo e gli altri due ristoranti di famiglia nel Lazio, e anche se ha evidentemente una personalita' forte e vitale, credo che la sua dimensione ideale sia piu' quella della quiete del borgo umbro che non il trambusto del litorale laziale. Le piace andare alla (ri)scoperta delle vecchie ricette della tradizione recuperandole direttamente dalle donne anziane, salvando cosi' dall'oblio quei piatti che oggi difficilmente si fanno piu' nelle case, e in questo ha trovato un complice ideale nel giovanissimo Daniele De Marchis, il cuoco di Camesena. Insieme danno vita a una cucina curata ma non troppo elaborata, basata sui prodotti (le verdure e la mozzarella arrivano dalla costa Pontina, il resto - salumi, olio e tartufi in particolare - dall'Umbria, naturalmente).

Va anche detto che il posto e' talmente bello - soprattutto se ci venite nella bella stagione, quando ci si puo' sedere ai tavolini esterni (bellissimi, di ceramica di Deruta) nella terrazza che si affaccia sulla pianura sottostante, dove c'e' anche il forno a legna - che varebbe la pena venire qui anche se la cucina fosse appena passabile. Ma il fatto che si mangi anche bene di sicuro non dispiace!

Comiciamo con un cestino di pani e pizze vario e buono, e con un ottimo antipasto che rivisita il classica "antipasto all'italiana" in chiave umbro-laziale e moderna: un fiore di zucca ripieno di mozzarella e alice fragrante e leggero, una giardiniera di verdure fatte in casa croccanti e con il punto giusto di aceto, un delizioso peperoncino verde dolce farcito con pangrattato e formaggio, la mozzarella di bufala di Amaseno e soprattutto il buonissimo arvoltolo con il salame: questo strano nome indica una "ricetta" tipica delle merende contadine umbre, una specie di pizzza fritta (a volte fatta anche in versione dolce con lo zucchero) che accompagna spesso appunto i salumi, un po' come lo gnocco fritto romagnolo. Solo che i questo caso somigliava piu' a una "pasta cresciuta" napoletana se vogliamo, gonfio e soffice, fritto alla perfezione (qui si fa parecchia attenzione all'olio...) e buonissimo insieme al salame. In un piatto a parte, anche i crostini con il tartufo, con e senza formaggio.
Molto buoni anche i paccheri con pomodorini, piselli di Bevagna e guanciale di Cinta Senese, che dava un profumo straordinario e la giusta sapidita' al piatto.  Forse meno indicato alla stagione  e alla temperatura lo spezzatino di agnello con le melanzane, comunque saporito. Indovinatissimo, invece, il dessert, fresco e delicato: pesche al vino (quelle dell'orto) e una sorta di "tortino" di savoiardi e crema al limone, su un "frullato" di pesche.
Sarei rimasta a godermi il fresco e a guardare il panorama all'infinito ma il Frecciarossa che passa proprio sotto al paese di Pissignano Alto mi ha ricordato che dovevo andare a prendere il treno per Roma!
A Camesena si organizzano anche serate di degustazione di vini e oli, e per chi ama il fumo c'e' pure una scelta di sigari cubani.














CAMESENA
Pissignano Alto
tel. 0743 520340
www.camesena.it

mercoledì 27 luglio 2011

News: arriva la RistorAbilita', conosci quello che mangi (e chi lo prepara)

Riporto un comunicato stampa su un argomento che mi sembra interessante (a cura di: Dragonetti&Montefusco Comunicazione). La certificazione e' una reale garanzia o solo un modo per lucrare sulla (s)fiducia dei consumatori? Devo dire che nel caso della ristorazione collettiva, mi sembra una buona idea....
 

Milano, luglio 2011
– È possibile mangiare bene in ospedale? È davvero pensabile avere un pasto nutriente, sicuro e adeguato riducendo i costi? Possiamo fidarci dei pasti serviti nelle mense scolastiche?

A tutte queste domande risponde la prima certificazione italiana di RistorAbilità assegnata da ICIM, Ente di certificazione indipendente italiano, al servizio di ristorazione dell’Ospedale Cardinal Massaia di Asti (già da alcuni anni impegnato nel progetto 2Q, Qualità Quotidiana, un pionieristico percorso di qualità applicata alla ristorazione ospedaliera)

La RistorAbilità valorizza le aziende capaci di gestire in modo sostenibile ogni aspetto che riguardi la ristorazione: dalla progettazione dei menu alla gestione delle risorse, dallo smaltimento rifiuti al trasporto.

Nello specifico, la certificazione risponde a cinque valori di sostenibilità, che toccano l’intero ciclo di vita dei prodotti. Di importanza fondamentale è il concetto di stagionalità: una ristorazione veramente sostenibile non rinuncia in alcun modo alla bontà dei piatti, ma la esalta con prodotti freschi, genuini e rigorosamente di stagione, sempre con un’attenzione particolare alla salute e alle esigenze dietetico-nutrizionali degli utenti. Si tratta di temi quanto mai attuali dopo l’entrata in vigore, a marzo, delle “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale” varate nel 2010 dal Ministero della Salute, che considerano il cibo un vero e proprio strumento terapeutico – quindi parte integrante della cura - in grado di diminuire il tempo di degenza di un paziente.
Un altro importante criterio di valutazione è la sostenibilità ambientale, dall’uso di mezzi ecocompatibili per il trasporto alla riduzione dei rifiuti e all’utilizzo efficiente di acqua ed energia, con conseguente lotta agli sprechi e contenimento dell’impatto sull’ambiente. Risultati ambiziosi ma raggiungibili attraverso una reale spinta all’innovazione, con l’obiettivo di coniugare tradizione e ricerca, tenendo ben ferma l’attenzione sulla sostenibilità economica. Tutela della sicurezza e della salute si ritrovano, infine, anche nell’ampio concetto di responsabilità sociale, elemento che prende in considerazione soprattutto gli aspetti legati alle condizioni dell’ambiente di lavoro, a tutela anche dei dipendenti.

Lo schema RistorAbilità, messo a punto da ICIM, tiene in considerazione anche le Linee Guida per la ristorazione scolastica del Ministero della Salute (maggio 2010), il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della PA”, varato nel 2008 dal Ministero dell’Ambiente e le “Linee guida Iso 26000 per la responsabilità sociale d’impresa”. Lo schema è inoltre integrabile con le norme internazionali su qualità, ambiente, sicurezza e igiene degli alimenti e rintracciabilità. Immediato, infine, il parallelo con settori analoghi, come le etichette biologiche o il commercio Equo e Solidale.

Tanti, quindi, i vantaggi di una certificazione di RistorAbilità, sia per i singoli che per la collettività: per gli utenti è una garanzia in più di avere un’alimentazione buona, sana, varia, rispettosa dell’ambiente e del territorio, tutti fattori che aiutano a effettuare una scelta più consapevole; per l’azienda, uno strumento distintivo rispetto ai concorrenti, che genera fiducia da parte del mercato; per il mondo del lavoro si traduce in maggior trasparenza nelle relazioni industriali, oltre che per i lavoratori stessi; per l’ambiente, infine, contribuisce alla riduzione degli impatti negativi e alla valorizzazione delle specificità locali, con conseguente sostegno alle economie territoriali.

Il valore crescente che il mercato riconosce ai temi della sostenibilità è sempre più legato al diversificarsi delle esigenze e delle richieste – legate a motivi etici, religiosi, etnici o semplicemente di preferenze - e anche dei rischi di una frequente alimentazione fuori casa - obesità, intolleranze, malattie metaboliche, per citarne alcune - che non sempre permette di esercitare un vero controllo su quello che si mangia. Un tema che direttamente o indirettamente tocca e coinvolge decine di milioni di italiani (8 milioni secondo gli studi Angem-Fipe, oltre 5 dei quali in aziende, scuole, ospedali e altre socialità, 2 milioni i bambini).

Dice Gaetano Trizio, Amministratore Delegato ICIM Spa: “RistorAbilità è il primo strumento in grado di valutare il servizio di ristorazione considerando allo stesso tempo qualità, salubrità e sostenibilità ed esprimendo il valore sociale dell’assunzione di responsabilità nei confronti della vita e del benessere delle generazioni di oggi e di domani. Siamo orgogliosi di aver contribuito, con il nostro schema di certificazione, a muovere un primo, importante passo verso l’affermazione in Italia di queste buone prassi.”

L’ospedale Cardinal Massaia è, dunque, solo il primo di tante realtà che possono ottenere la certificazione di RistorAbilità: ospedali, scuole, mense pubbliche e private e tutte le aziende che si occupano di ristorazione fuori casa possono infatti farsi riconoscere o mettere a punto il proprio percorso di sostenibilità, basato sul rispetto della salute, del benessere collettivo e del territorio.

lunedì 25 luglio 2011

Pausa pranzo / il "pranzetto" dell'Asino d'Oro a Roma


Altra prova per una pausa pranzo romana, sempre dalle parti di via Nazionale. Questa volta la scelta e' ricaduta su L'Asino d'Oro, il ristorante-trattoria (era stato un Tre Gamberi, cioe' una delle migliori trattorie d'Italia per la guida del Gambero Rosso) di Lucio Sforza, che dopo aver lasciato Orvieto e' approdato a Roma da un paio d'anni, prima in zona Montesacro e ora, appunto, a Monti. Me ne avevano parlato bene in molti ed ero curiosa di assaggiare la proposta per il pranzo, che nei giorni infrasettimanali prevede un menu fisso chiamato "Il Pranzetto": tre piatti (piu' un benvenuto), pane, acqua e un bicchiere di vino a 12 euro, che mi pare onestissimo.

Solo che ci sono andata in una delle giornate piu' calde del 2011 (prima che su Roma tornasse a spirare la bella arietta fresca di questi giorni) e sinceramente avrei gradito un menu un po' piu' estivo. Comunque era scritto fuori, sulla lavagnetta, quindi non e' che me ne voglia lamentare troppo. Comiciamo con un assaggio di carpaccio di zucchine, semplice ma giustamente fresco e ben condito. Poi arriva la vellutata tiepida di fave, insaporita dal finocchiettoe da un giro (forse un po' abbondante ma figuriamoci se io me ne lamento) di extravergine.


Il piatto seguente, il grano asciutto con verdure estive, mi ha un po' deluso. Non solo perche' io me lo aspettavo freddo (sara' stata la suggestione o il caldo?) e invece era caldo, ma perche' francamente era un po' troppo cotto (e dire che quando lo faccio io mi sembra che rimanga sempre troppo duro...) e un po' sciapo. 
Terzo piatto, lo sformato di patate e ricotta. Soffice, saporito, non eccessivamente pesante. Molto buono, pero' sinceramente dopo legumi e cereali le patate le ho trovate un po' eccessive... Capisco il dover contenere i costi, pero' diciamo che come menu non mi e' sembrato pensato benissimo.






Peccato perche' a parte il grano, e' stato tutto molto buono e in effetti a questo prezzo il "pranzetto" e' decisamente un'ottima soluzione per la pausa pranzo! Ci tornero' in inverno....




L'ASINO D'ORO
via del Boschetto, 73
Roma
tel. 06.48913832

Cosa c'e' di nuovo (o comunque di buono) a Londra/3 : The Hand & Flowers


Un pub con una stella Michelin? Oh yeah. Anzi, si vocifera che le stelle potrebbero addirittura passare a due per il locale dello chef Tom Kerridge, forse anche in seguito al vittorioso passaggio televisivo sulla BBC al programma The Great Bristih Menu in squadra con Paul Ainsworth.
Eppure si tratta di un pub a tutti gli effetti, come ce ne sono tanti nella campagna inglese.

Solo che Marlow - grazioso villaggio nella contea del Buckinghamshire dove vissero di passaggio durante la loro fuga anche i due amanti Mary e Percy Bysshe Shelley - e' un piccolo gioiellino lungo il Tamigi, a un'oretta da Londra, e in effetti la cucina del The Hand and Flowers non e' esattamente quella che ci aspetterebbe di trovare in ogni pub inglese. Tutto il resto, pero', e' piu' o  meno average, dall'ambiente (un antico Inn con travi a vista, tavoli di legno apparecchiati con appena un po' piu' di cura, bancone a cui andare ad ordinare le birre...) e i prezzi sono piuttosto ragionevoli (noi abbiamo pagato circa 120 sterline in tre comprese le bevande, diciamo 50 euro a testa per un pranzo piu' che abbondante), il che rende la sosta in questo locale decisamente interessante.

Quando arrviamo a Marlow purtroppo piove - a luglio... - e non abbiamo la possibilita' di fare un giro per il paese, d'altro canto siamo in perfetto orario per il "turno" delle 12,30 il locale e' fully booked e non possiamo farci scappare il tavolo. Ci sediamo, e iniziamo subito nel migliore dei modi (a parte il fatto che non c'era sidro ne' alla spina ne' in bottiglia, il che e' abbastanza strano per un pub inglese, ma per me decisamente non era un gran problema!) con un "benvenuto" di pesciolini fritti con salsetta rosa e un ottimo soda bread al pepe nero appena sfornato, con il burro d'ordinanza.








Come starters, ordiniamo: tartelletta di quaglia con olive verdi, indivia e groviera invecchiato per me (buona anche se non completamente equilibrata nei sapori, con le olive un po' troppo invadenti; devo dire che nel confronto con l'antipasto a base di quaglia assaggiato qualche mese prima al Pollen Street Social vince decisamente l'escabeche di quaglia con crema di fegatini di pollo noci e semi di Jason Atherton), una versione originale e riuscita delle moule marinieres (con cozze sgusciate e e salsa cremosa) e la buonissima zuppa di prezzemolo con aringa affumicata, bacon e tortellino al parmigiano, guarnita da fiori di borragine e un filo d'olio extravergine d'oliva. Vorrei averla presa io!





E veniamo al pezzo forte del menu: io e mia sorella ci lasciamo tentare da uno dei piatti con cui lo chef ha conquistato al giuria televisiva, che lei ricordava ma non nei dettagli.... e andiamo per il Roast Hog con le salt baked potatoes e la salsa alle mele che, come richiesto dal regolamento del programma della BBC doveva essere un piatto conviviale della tradizione inglese, dunque da dividere almeno in due. I Laguiole colorati che arrivano in tavola ci mettono di buon umore, ma quando la cameriera viene a fare spazio sul tavolo levando praticamente tutto quello che c'era al centro iniziamo spaventarci. E in effetti, il tagliere con il maiale occupa quasi tutto il tavolo. In piu', c'e' il piatto con le patate. Ma andiamo con ordine. Sul tagliere, appunto, invece di ritrovarci il maiale intero con tanto di mela in bocca che a quel punto ci saremmo aspettate, c'e' una sorta di "suino scomposto": la pancetta circondata dalla sua bella coccia croccante e lucente come si deve, un piedino ripieno di carne macinata insaporita con spezie e fromaggio (buona ma bella intensa, e devo dire che non sono esattamente una feticista in tema di piedi di bestie....) e due cubi panati e fritti...che si sono rivelati la cosa piu' buona del piatto: crocchette di testina di maiale, croccanti fuori e morbidissime - scioglievoli direi - dentro, in grado di fare concorrenza alle mitiche polpette di bollito di Cesare a Roma. Il tutto, da accompagnare con la delicata salsa di mele e con la tradizionale gravy, saporita ma non eccessivamente grassa e pesante come di solito avviene. D'altro canto, lo chef e' famoso anche per le sue salse home made, come anche quella che condisce la fresca insalata servita per contorno.
Ma non ci dimentichiamo delle patate! Che arrivano dentro a...una pagnotta. Vengono cotte tutte intere dentro a un involucro di pasta di pane per conservare l'umidita' e il sapore, e il risultato e' interessante anche se l'impresa di tirarle fuori con il forchettone d'ordinanza non e' delle piu' semplici. La presentazione del piatto, nel complesso, pero e' decisamente suggestiva!
Per il terzo commensale, la Chateaubriand di Lancashire Beef con lo Yorkshire Pudding e patate arrosto in salsa al vino rosso forse si rivela una scelta poco entusiasmante, anche se cotta alla perfezione.







A questo punto saremmo stati anche sazi, ma abbiamo ceduto ad un dolce in tre... Pero' volevamo qualcosa di non troppo pesante cosi' tra le varie proposte scegliamo il Souffle' di lamponi con gelato al Muscovado e salsa di menta, pronto appena in tempo per l'orario in cui dovevamo lasciare il tavolo. Raramente sono stata piu' soddisfatta della scelta del dessert al ristorante (spesso i dolci mi deludono e mi fanno rimpiangere di non aver preso l'altro tra cui ero indecisa...). Il souffle' era f-a-n-t-a-s-t-i-c-o! Morbido, leggero, soffice, saporito.... la salsa di menta, commovente: leggera e intensissima di sapore al tempo stesso, rinfrescante, un accompagnamento perfetto al souffle'. Il gelato era buono, ma l'abbiamo lasciato senza troppi rimpianti al nostro gentile accompagnatore che aveva subito la nostra scelta dopo averci scarrozzate fino a Marlow nella sua fiammante Mini rossa.

THE HAND AND FLOWERS
126 West Street
Marlow
SL7 2BP
Tel: +44 (0)1628 482 277
www.thehandandflowers.co.uk

giovedì 21 luglio 2011

Cosa c'e' di nuovo (o comunque di buono) a Londra/2 : Dock Kitchen


E torniamo a Londra, e al cibo londinese (e dintorni). Per i festeggiamenti familiari, la scelta e' ricaduta sull'ottimo Dock Kitchen dove ero gia' stata quest'inverno. Stevie Parle, il cuoco, e' un simpatico e giovane cuoco giramondo che vive (viveva fino alla nascita del figlio) su una barca sul Tamigi e fino a un paio di anni fa intervallava i viaggi con il lavoro in un pop up restaurant a Londra. Poi in societa' con il designer Tom Dixon-  che si e' pure costruito la sua "casa-torre" in una ex cisterna dell'acqua di fronte - ha aperto questo locale. 

Nella zona meno fighetta di Portobello, una volta finite le case superlusso dei vip locali, il Dock Kitchen e' un ex capannone che si affaccia su un canale del Tamigi, ed e' praticamente uno dei pochi ristoranti londinesi a poter vantare uno spazio all'aperto per aperitivi e cene (tempo permettendo) o anche per il settimanale mercatino di frutta e verdura che viene ospitato qui. Dentro, il grande spazio e' arredato con lampadari e altri oggetti di grande effetto, tavoli apparecchiati semplicemente ma con cura, scaffali pieni di prodotti (soprattutto italiani, dalla pasta all'olio) e, nel mezzo, la grande cucina a vista (e "a naso") dove Stevie e i suoi preparano i piatti ispirati alle diverse cucine del mondo. Il menu prevede una scelta alla carta e un menu fisso (a circa 40 sterline) che cambia spesso in base al mercato e alla stagione. 

Noi abbiamo scelto il menu Wild Food basato in gran parte sulle materie  prime provenienti da un fornitore del Kent che gli manda quel che raccoglie tra prati, boschi e coste del Sud dell'Inghilterra. 

Ottima partenza con il wild kibbeh, un piatto tradizionale libanese a base di grno spezzato fiori, germogli e foglie. Saporito, fresco e delicato, con un lieve tocco speziato dato dallo za'tar (mix di semi di sesamo, origano, timo, peperoncino e altre erbe). Buono!

Proseguiamo con una delle specialita' di Stevie ispirata all'Italia, gli gnudi di ricotta di bufala maggiorana, pinoli e scorza di limoni di Amalfi. Ancora piu' buoni della versione provata precedentemente (con limone, pinoli e agretti) i tre gnudi nel piatto conditi solo con olio extravergine italiano (per nulla invadente ma piccantino,  non so se al naturale o per una leggera infusione di peperoncino)  erano davvero tre bocconi di felicita'. Non posto la foto perche' e' davvero brutta, causa luce non ottimale e poca...presenza scenica. I piatti di Stevie Parle sono fatti piu' per essere mangiati che per essere guardati, la mise en place nel piatto e' poco piu' che casalinga ma vi assicuro che non si sente la mancanza di maggior attenzione all'estetica!


Segue il riso pilau con funghi (morchelle o spugnole, e galletti scozzesi), zafferano e cumino nero selvatico, una specialita' del Kashmir. Anche questo molto buono, giustamente speziato e per nulla pesante, anche se la scelta di far seguire tre "primi" (e' vero che negli gnudi non ci sono carboidrati pero'...) puo' sembrare un po' strana. 
E arriviamo alla parte proteica della serata: un ottimo rombo arrostito sul finocchietto selvatico servito con diverse "verdure marine" tra cui l'astro marino (sea aster)  salicornia (samphire) e porcellana di mare (sea purslaine o Halimione portulacoides). Un piatto dai sapori molto puliti e molto "marini" senza avere eccessi di iodio, dalla cottura perfetta che rispettava la materia prima ittica, cosa davvero insolita a queste latitudini (o piu' che altro, ovunque fuori dall'Italia...). Da bere, per meta' tavolo un Muscadet francese e per l'altra meta' (la mia) un buon Pinot Grigio Ramato Vigneti delle Dolomiti della Cantina d'Isera, dall'insolito colore rosato e dai profumi piacevoli.

Gran finale con il dolce - con tanto di candeline! - scelto dalla festeggiata: una goduriosa torta morbida al cioccolato accompagnata da un fresco yogurt piacevolmente acidulo a stemperarne la dolcezza. Devo dire che raramente ho visto una tavolata cosi' cosmopolita (tre italiane, quattro tre inglesi, un francese, un brasiliano, un neozelandese e una anglo-asiatica) concordare a pieno sulla bonta' del cibo. Bel colpo Stevie! :)

THE DOCK KITCHEN
Portobello Docks
344/342 Ladbroke Grove
Kensal Road W10 5BU
www.dockkitchen.co.uk

Intermezzo italiano: e' nata Tonda!!


Chissa' quante volte lo avro' detto negli ultimi anni: "meno male che Sforno sta dall'altro lato della citta', se no sarebbe la rovina del mio girovita".
Ecco, ora il guaio e' fatto: Stefano e Antonio hanno deciso di aprire la loro terza creatura - dopo Sforno, appunto, e 00100 - ad una distanza "non piu' di sicurezza" da casa mia, per la precisione a pochi passi da piazza Sempione. Un ristorante di pesce e' stato trasformato (anzi, diciamo che e' ancora un po' un work in progress) in una pizzeria allegra e colorata - a partire dal logo prescelto e dal nome che fa simpatia - con le sedie di legno e paglia in tinte diverse, le pareti colorate, qualche tavolo fuori sotto al gazebo - ma la strada e' piuttosto tranquilla - e la solita atmosfera "easy" che contraddistingue anche Sforno (anche se ieri, avendo appena aperto, il locale non era affollato come lo e' di solito la casa madre, che nei momenti di pienone risulta un po' rumorosa).

In menu, piu' o meno la stessa offerta di Sforno ma "limitata" a fritti, pizze, focacce e dolci (niente primi e insalate), piu'... i trapizzini, cavallo di battaglia di 00100, qui proposti "al piatto" (anzi, nella vaschetta di vetro) in formato mignon, ideale per assaggi ripetuti (e piu' comodi da mangiare). Dentro ai triangoli di pasta della pizza - Stefano ha sfatato il detto che chi nasce tondo non puo' diventare....triangolare! - ci vanno a scelta i "soliti" ripieni classici della cucina romanesca, sempre buonissimi.

Manca, per il momento, la lavagna con gli special del giorno ma ci ha pensato la simpatica e bravissima Martina a dirceli a voce. Noi abbiamo scelto un trapizzino con la coda alla vaccinara, un suppli' alla genovese (in versione tiratissima e supersaporita, proprio come lo farebbe mamma' a Napoli... se mai facesse la genovese) e due Margheritissime, versione "nomentana" della SuperMargherita con pomodoro, fiordilatte, basilico e parmigiano.



Buonissime come sempre anche se il forno - arrivato direttamente dalla Campania - e' ancora in fase di rodaggio... ma direi che la prova e' superata! Da bere, prima una blanche belga alla spina e poi una Lupulus, altra birra belga aromatizzata al timo, interessante anche se non mi ha fatto impazzire.




TONDA
via Valle Corteno, 31
tel. 06 8180 960
Roma


martedì 19 luglio 2011

Cosa c'e' di nuovo (o comunque di buono) a Londra/1 : street food


Non staro' ancora a discutere se a Londra si mangi bene o male. A Londra io ci mangio benissimo, in media, perche' so dove andare, anche grazie a chi mi passa le informazioni di prima mano.
Quindi, da ormai un po' di anni le mie (frequenti) soste londinesi sono all'insegna del cibo.
L'ultima occasione - lo scorso week end - era un po' speciale, quindi ha previsto com'era giusto copiosi festeggiamenti, naturalmente a tavola. Ma e' stata anche l'occasione per scoprire un po' di street food e qualche altra novita'.

Cominciamo venerdi' mattina, approfittando del caldo sole estivo londinese (niente paura, e' durato poco...) con un giro di routine al Covent Garden e sosta al banco TuttiFrutti per un buon succo di frutta fresca: per me mela, ananas, mango e zenzero, buono quasi quanto quelli del baretto indiano a Varkala. 
Avevamo in mente di fermarci per pranzo a uno dei tanti stand del SouthBank Real Food Market, che ormai si tieno ogni fine settimana e offre davvero di tutto, dal cibo marocchino a quello indiano, dalla paella alle specialita' congolesi, senza farsi mancare formaggi francesi e panzanella italiana. Ma la nostra informatrice ci ha indirizzati verso quello che pare essere l'ultimo grido in fatto di street food / pausa pranzo londinese, almeno da questo lato del Tamigi, sotto l'Hungerforge Bridge: Pitt Cue Co. Il format e' nato dalla joint venture tra Jamie Berger (uno dei primi importatori della Cobra beer - birra indiana studiata apposta per il mercato britannico, oggi pare una delle piu' diffuse nel paese - nel Regno Unito) e il giovanissimo chef Tom Adams, entrambi con una sviscerata passione per grigliate e BBQ (Berger ha origini americane, degli stati del Sud, e questo spiega l'evidente influenza a stelle e strisce nell'offerta). 

L'idea, dicevamo, e' semplice.
Un camioncino come quelli che a Roma vendono i panini con la porchetta, ma tutto argentato e con la sagoma di un bel maiale pasciuto sul fianco, che se ne sta tutto chiuso fino alle 12,30 circa. Poi, gli inservienti iniziano ad armeggiare con lavagnette e griglie (elettriche), e la gente - in gran parte impiegati e manager in giacca e cravatta - iniziano a sedersi sui segnalatori di plastica gialla solitamente usati per indicare lavori stradali etc, qui riciclati come sgabelli per i pochi tavolini di legno sparsi lungo la riva del Tamigi. 
beef brisket
All'una in punto, ci si mette in fila per accaparrarsi il proprio pranzo: 7 sterline (circa 10 euro) per un contenitore di cartone che fornisce la giusta dose di proteine accompagnata dai pickles (sottaceti) e a scelta da insalata o fagioli. Da bere, cocktails e shots a base di Bourbon secondo la tradizione americana, oppure birre in bottiglia (pare che abbiano un'ottima selezione tra cui l'IPA della BrewDog ma quando sono andata io non c'era e ho ripiegato su una Lager americana non indimenticabile, la Pabst Blue Ribbon).

pulled pork
Ogni giorno, 7 su 7 dall'1 alle 22, si sceglie tra due proposte di carne (nel nostro caso, il morbidissimo e succulento beef brisket - punta di petto di manzo - o lo squisito pulled pork, che sarebbero delle specie di straccetti di maiale, anche questi tenerissimi e saporiti, conditi a piacere con una salsetta piccante. La carne di maiale viene prima "dry rubbed" (speziata o se vogliamo marinata a secco) poi affumicata per 12 ore con legna di noce americano (quello da cui vengono le noci di Pecan, a quanto ho capito) e poi cotta: il risultato e' fantastico. In piu', ogni tipo di carne (altre volte possono capitale le costolette di maiale o il pollo dell'Essex) e' accompagnata da un tipo di pane: una bella fetta di pane bianco abbrustolito per il manzo, e l'ottimo pane di segale ai cereali sfornato per il Wild Caper Deli di Brixton dal semprelodatissimo forno a legan della pizzeria Franco Manca.

Insomma, quanto a pausa pranzo gourmet Londra quasi batte Roma (eppure se Stefano Callegari provasse il pulled pork, sono sicura che finirebbe in un trapizzino...). 

Sempre per restare in tema street food/pausa pranzo, per il mio ultimo e veloce spuntino londinese ho poi provato la pizza al taglio di PePe, un nuovo locale su St. Martin's Lane aperto da qualche mese, che propone appunto street food made in Italy: in particolare, piadine e pizze al taglio, molto simili a quelle di scuola romana (senza scomodare i grandi maestri come Bonci, pero'...), piu' qualche piatto di pasta da mangiare sul posto o take away. La pizza - che come il gentile ragazzo al banco ci ha tenuto a dirmi, e' fatta con tutti ingredienti italiani, farine incluse - non e' male: l'impasto e' piuttosto sottile ma scaldato nel forno ad alta temperatura recupera una giusta croccantezza, i condimenti sono saporiti ma non eccessivamente pesanti (abbiamo provato la margherita classica, quella con bufala e pesto e quella con salame piccante) e il prezzo nemmeno: a £3.95per un trancio rettagolare abbastanza grande, e' decisamente un'opzione economica per Londra, e anche rispetto a molti concorrenti medi di Roma!

mercoledì 13 luglio 2011

All'Oro: simply the best


Roma, meta' luglio, 35 gradi all'ombra.
Ho appuntamento per pranzo con un amico, che mi chiede "Di che hai voglia?"
"Di qualcosa di fresco e leggero", rispondo io.
E lui mi porta da All'Oro. Ora, a me piace tantissimo la cucina di Riccardo Di Giacinto, ma sinceramente sarebbe stato l'ultimo posto che mi sarebbe venuto in mente. Il locale e' al chiuso, piccolo, ai Parioli, e i piatti di Riccardo sono appunto buonissimi ma non rappresentano il mio ideale di "leggerezza" estiva, ecco.
E invece....
Con la luce del giorno - ci ero stata sempre a cena perche' mi dava piu' l'idea di un posto serale - il locale e' luminoso grazie al lucernario, e molto accogliente. Un'aria condizionata sparata alla giusta intensita' evita l'effetto serra, ma anche quello congelamento. E i piatti del menu "estivo" si sono rivelati tutt'altro che pesanti, portando a compimento la tendenza all'alleggerimento - ma senza perdere in sapore  - che avevo ritrovato gia' nella mia precedente visita e che elimina l'unica, piccola pecca che avevo potuto riscontrare della cucina dell'All'Oro.
Abbiamo deciso per il menu Festival da 4 portate (a 55 euro) scegliendo noi i piatti che volevamo assaggiare, chiedendo pero' a Riccardo di farci porzioni piu' piccole, da Gran Festival (6 portate a 70 euro). Alla fine pero' tra un assaggio in piu' che ci ha mandato lui e una nostra richiesta extra, siamo arrivati a 6 lo stesso...

Iniziamo con il grazioso cestino dei pani e grissini fatti in casa (adoro le sfogliette al curry anche se questa volta erano meno speziate del solito) serviti con un piattino di ottimo olio extravergine, e con uno squisito amusebouche: crema di patate con caviale di lompo e scorzette di limone. Lo abbiniamo con un calice di Champagne (Pascal Mazet, se non ricordo male) che sara' l'unica fonte di alcool del pranzo, che fa caldo e poi bisogna tornare a lavorare! Eravamo soli, quindi siamo abbiamo avuto modo di chiacchierare anche un po' con Riccardo e Ramona, freschi sposi da poco tornati dal loro viaggio di nozze.

Poi cominciamo subito con un piatto fantastico, in assoluto il migliore del pranzo, il sushi piemontese: una battuta di fassona piemontese avvolta a mo' di makizushi in una sottile sfoglia di tartufo estivo che sostituisce l'alga nori. Sul fondo del piatto, una salsa al parmigiano e una alla bagnacauda (buonissima ma non invadente) che sembravano quasi disegnare un uovo al tegamino (che non c'entra nulla col sushi pero' faceva un bell'effetto cromatico e col tartufo c'azzecca sempre) con tre nocciole "ammorbidite".
Un piatto divertente, leggero, pieno di sapore....ne avrei mangiati altri dieci!





Invece ci aspettava il secondo antipasto: il gambero alla parmigiana. Un grosso e succoso gamberone rosso crudo servito su quelli che sono i classici ingredienti della parmigiana: melanzana (solo polpa), sughetto di pomodorini, basilico e salsa di Parmigiano (forse solo questa un po' invadente rispetto agli altri sapori).




Passiamo ai primi: i bonbon alla crema di scampi con salsa di patate e prezzemolo sono la personale rivisitazione di Riccardo di un grande classico della cucina anni '80, oggi guardato con orrore da ogni gourmet che si rispetti. Ma perche' poi? (a fine pasto chiacchierando con Riccardo ci confesseremo a vicenda la nostra perversa passine per alcuni piatti trucidi ma che, se fatti bene, hanno sempre il loro perche'). E dunque, dentro ai bonbon di sfoglia da mangiare tutti in un boccone ecco pronta ad esplodere in bocca una crema di scampi da manuale, con tutta la panna che ci vuole per riempire il palato con quella meravigliosa, vellutata sensazione  (e tutto il sapore del crostaceo). Perfetta la salsa, leggerissima e fresca nonostante la presenza delle patate, unico e piacevole tocco di colore in un piatto minimalista fuori e "massimalista" dentro.

Riccardo ha voluto mandarci anche un assaggio del suo piatto preferito del momento: le mezzelune di burrata con pomodori datterini e alici.  Buonissime pure queste, molto equilibrate tra la componente grassa della burrata (dentro e fuori) e quella piu' fresca e sapida data rispettivamente dai pomodorini (interi, pelati) e dalle alici. Insomma, abbiamo gradito l'assaggio a sorpresa!




Ed eccoci al secondo, che doveva essere il primo e l'unico: il calamaro ripieno di pappa al pomodoro e 'nduja. Io non amo molto il piccante, ma c'e' da dire che l'uso di salumi e insaccati, anche "ignoranti" abbinati al pesce o comunque a piatti delicati, e' una delle cifre della cucina dello chef, e di solito da' ottimi risultati. Cosi' mi sono lasciata convincere. E bene ho fatto: il calamaro servito nel suo guazzetto rosso e' un tutt'uno con il suo ripieno, abbastanza hot ma buonissimo. Riequilibrano il tutto, anche qui, la presenza dei pomodorini, del prezzemolo e delle ottime cipolle agrodolci, oltre che un extravergine ben scelto.




Tempo di pensare al dessert, o meglio al caffe'? Macche'. Non riusciamo a rinunciare ad un assaggio di uno dei cavalli di battaglia dell'All'Oro, la spigola in porchetta con zuppa di carbonara e tartufo.
Ricordo che la prima volta che ho mangiato qui - sempre con lo stesso amico - rifiutammo il "consiglio" del maitre di ordinare questo piatto che non ci convinceva troppo e ne ordinammo un altro.
Ma Riccardo ce lo volle mandare lo stesso, e alla fine si rivelo' il piu' buono di tutta la cena (e gli altri mie erano piaciuti molto, eh).
Dimostrazione che a volte si deve osare, non solo da parte di chi sta ai fornelli ma anche di chi mangia!





Conclusioni? Siamo stati freschi di sicuro, e leggeri (nei limiti del possibile) grazie alle porzioni assolutamente indovinate. E sono sempre piu' convinta che Riccardo Di Giacinto sia - tra i cuochi romani giovani, ma con pochi a fargli concorrenza anche tra i piu' "anziani" - simply the best.

ALL'ORO
Via E. Duse, 1
Roma
tel. 06 97996907
www.ristorantealloro.it

martedì 12 luglio 2011

un pompelmo al giorno...


Si lo so che il detto prevederebbe una mela, ma non e' stagione e poi con il caldo vuoi mettere un bel pompelmo fresco e succoso...
Scherzi a parte, che mangiare un pomplemo al giorno per almeno due settimane possa notevolmente migliorare l’aspetto e il benessere lo dice una recente ricerca made in Uk, commissionata dalla South African Citrus Growers Association (CGA) e pubblicata il 9 luglio su The Grocer.
Lo studio si è svolto tra il 28 aprile e il 6 giugno 2011, ed è accompagnato da una campagna che evidenzia soprattutto la naturale dolcezza delle varietà moderne di pompelmo, in particolare il pompelmo rosa Star Ruby. Si tratta di una varieta frutto di mutazione naturale originaria del Texas   
(fu “scoperta” per la prima volta che cresceva su una pianta “balia” di pompelmo  negli anni ‘30 a San Benito).
I ricercatori hanno chiesto a 65 donne di giudicare il loro aspetto e il loro benessere generale – inclusi pelle, capelli, peso, capacità di concentrazione e livello di energia – prima e dopo  la “cura pompelmo”
I risultati mostrano aumentati livelli di concentrazione (giudicata “eccellente o molto buona” dall’80% del campione rispetto al circa 40% pre-cura), maggiore energia (eccellente per il 67.7% rispetto al 18.4%), una pelle piu’ bella (l’81% ha notato un miglioramento nelle due settimane), capelli piu’ sani (per il 72.3%), perdita di peso (per il 58.5%). Inoltre, oltre il 70% delle intervistate ha dichiarato di sentirsi meglio con il proprio corpo e di essere piu’ a proprio agio con il suo corpo, e il 75.4% delle partecipanti all’esperimento ha dichiarato che avrebbe continuato a mangiare pompelmo tutti I giorni.
Molto contento dei risultati, ovviamente, Justin Chadwick, CEO della Citrus Growers Association ofSouthern Africa (CGA) che ha detto: "Sono risultati entusiasmanti che daranno alla gente altri buoni motivi per mangiare più pompelmo”.
Sarà pure marketing, ma io corro a fare una scorta di pompelmi!
Food facts: il pompelmo è una fonte eccellente di vitamina C, potassio e fibre. 
Inoltre, non ha ne’ grasso ne’ colesterolo (e vorrei vedere). Metà pompelmo contiene circa 60 calorie.
Per info: http://www.sagrapfruitchallenge.com

domenica 10 luglio 2011

Assaggi da una vacanza estemporanea




Che fare quando un viaggio on the road Napoli–Spagna-Parigi con l’amica del cuore (avete presente Telma e Louise, con l’happy ending pero’!) salta per …mancanza di macchina?
O si rinuncia, o ci si arrangia. E noi siamo decisamente per quest’ultima opzione. Quindi, gambe in spalla e andiamo a piedi (ok, in treno) a prendere quella stessa nave per Barcellona che avrebbe dovuto caricare anche la fiammante macchina rossa. Quasi 24 ore di navigazione in cui non sapendo che fare assaggiamo tutti i caffe’ di bordo e occupiamo a oltranza il centro benessere, e siamo a Barcellona.  

Sosta non prevista, che si doveva partire subito per Tossa del Mar. Invece due giorni prima abbiamo deciso di dormire nella capitale catalana, ed era partita la vana ricerca di un posto per il Tickets, perche’ bisognera’ pure cenare. 
Nulla da fare, per cui ripieghiamo - senza troppo rimpianti – sul Dos Palillos. A meta’ tra il Tapas e il sushi bar – in commune hanno entrambi il bancone e le porzioni piccole, ready made – è un posto decisamente divertente, oltre che buono. Davanti ai nostri occhi, giovani punkchef molto global guidati dall’ex elBulli Albert Raurich, preparano con nipponica precisione - e iberica disponibilita’ a rispondere alle nostre domande – il sequel dei piatti dei due menu degustazione (per noi quello “un palillo” da 13 portate a 55 euro, per altri commensali seduti allo stesso bancone quello “dos palillos” da 15 portate a 70 euro che include anche il famoso japo burger, tocchera’ tornare!).
 
Tra i vari assaggi - aperti da una versione fresca e analcolica di mojito con grano e shizo – abbiamo apprezzato particolarmente i cannolicchi con olio di curry rosso e cipolla, i ravioli con spinaci, pack choi, shijtake e trompet al sesamo nero, la padellata di verdure (soprattutto per il buonissimo e croccante fungo bianco cinese che ci ha fatto scervellare tutta la sera – Verza? Alga? - fino a che uno dei cuochi non si è mosso a compassione e ce l’ha fatto vedere da crudo), il sushi fai da te e i ravioli gyosa ripieni di verdure e maiale croccante con salsa di soia allo zenzero

Dopo l’ottima cena, ancora con valige al seguito, ci prepariamo alla folle notte di Barça… nei letti a castello senza aria condizionata dell’Hostalet Barceloneta, nella parte piu’ brutta dell’Eixample, ma tant’è.

L’indomani, senza guardarsi indietro, si parte con il bus Sarfa per la nostra - a questo punto unica - meta: Cadaqués. Piccolo villaggio di pescatori affacciato su una splendida cala, ben al riparo dalle brutture e dal casino di altre localita’ della Costa Brava – siamo quasi al confine con la Francia, nella comarca dell' Alt Empordà - Cadaqués è famosa soprattutto perche’ qui ci veniva in vacanza da piccolo Salvador Dali’, che ha poi vissuto a lungo con la moglie Gala in una bella e visionaria villa (visitabile, su prenotazione) nella vicina, ancor piu’ incantevole cala di Port Lligat.  


Nonostante la presenza di Dali’ possa risultare a volte un po’ ingombrante (avete presente “qui Dali’ ha dipinto il tal quadro.”, “qui Dali passava le sue serate”…. Etc) Cadaqués – specialmente fuori stagione, cioe’ prima del 15 luglio o dopo il 30 agosto – ‘ un luogo davvero incantevole, con le sue viuzze (tutte in salita e lastricate di pietre aguzze, a prova di tacco!) e le case bianche, i baretti, le spiagge di ciottoli (comodi, anche quelli…) dalle acque cristalline e gelate. 
L’ideale per passare qualche giorno di mare e relax prima dell’arrivo delle orde di turisti (e comunque qui c’è una soglia “naturale” data dalla limitata possibilità di parcheggio), non facendosi mancare qualche assaggio di specialità locali, a partire dalle ottime anchoas e dal pesce fresco locale, purtroppo spesso rovinato dall’uso di olio si semi o di olio di oliva di scadente qualità. 

Ecco una selezione di indirizzi – anche non gastronomici – per andare sul sicuro:

PS: se siete Dalimaniaci, approfittate magari di un giorno di pioggia e andate a Figueres a visitare la delirante casa-museo di Dali ricavata nell’ex teatro della citta’.

Hotel Ubaldo, www.hotelubaldo.com. Il semplice alberghetto dove abbiamo dormito. Le stanze sono molto basic e non c’è ascensore, ma la posizione è comodissima (a due passi dalle spiagge, dal “centro” e soprattutto dal Brown Sugar, vedi dopo) ed è economico. In più, noi abbiamo avuto la camera all’ultimo piano con terrazzetto per aperitivi da cui si poteva anche scroccare il wifi di qualche vicino, e fare tre piani a piedi aiuta a smaltire la cerveza di troppo!

EsFornet, C/ Miquel Rosset 2: caffetteria, pasticceria ma soprattutto forno, è diventato in breve il nostro punto di riferimento per colazioni e merende dolci e salate. Ottimi i paninetti a forma di Topolino (nel senso di Mickey Mouse) con jamon e formaggio di capra, le baguette-pizza e i tipici bunyols (specie di zeppoline fritte simili alle castagnole) che qui pare siano stati dichiarati i più buoni dell’Alt Empordà. Anche al primo posto della mia personale classifica del pan con tomate, la mia colazione spagnola per eccellenza provata per voi in tutti i bar di Cadaqués!




Ca l'Anita C/ Miquel Roset, 16. Quotato anche dalla Lonely Planet e da El Mundo, è un’istituzione di Cadaqués da oltre 40 anni. Ovviamente frequentato da Dali’ e compagnia ai tempi d’oro, è una “casa-bodega” dove ci si siede al tavolo con sconosciuti e si è un po’ vittime del (simpatico) padrone di casa, Juanito (Joan Martí), nella scelta dei piatti. Insomma, uno di quei posti che o è una sola pazzesca per turisti, o una figata. A noi è sembrato decisamente quest’ultima, e ci siamo pentite di non esserci andate prima. L’atmosfera – nonostante l-ambiente piuttosto scuro – è solare e Juanito sa il fatto suo. Abbiamo chiacchierato con lui e con gli altri ospiti al nostro tavolo (una simpatica e traquilla coppia di Madrid e due signore di Valencia, che arrivavano apposta da Roses) e abbiamo mangiato e bevuto davvero bene: pane con alici (ottime!) e formaggio per iniziare, gamberoni e branzino alla griglia squisiti (finalmente non inondati di aglio e olio cattivo), e un buonissimo semifreddo al torroncino, con il rosato della vicina cantina Perafita –Martin Faixo. 
Muy bueno.


El Meliton, Ptge. Maritim. Marcel Duchamp ci giocava a scacchi, fanno un buon caffè (illy), c’è il wifi gratuito e non si mangia nemmeno male – ottima tortilla caliente e insalata con frutta secca e formaggio di capra – in questo bar affacciato sul mare e sulla piazza principale. What else?


Brown Sugar, C/ Vigilants. L’abbiamo adocchiato al primo giro di perlustrazione nel villaggio. “questo è un posticino carino”. Detto fatto, ci passiamo la prima sera per un aperitivo e ci fermiamo per due ore – rischiando di rimanere senza cena – a bere, ascoltare musica e chiacchierare con Rudi, il simpatico proprietario, e le sue due collaboratrici. Fotografo, ha passato vari anni alle Canarie poi ha deciso di venirsene qui e ha aperto – il 15 agosto di due anni fa – questo minuscolo baretto. 
Un bancone colmo di frutta fresca, locale e tropicale, sgabelli qualche sedia (il divanetto è riservato ai musicisti che si alternano a suonare, dal bel chitarrista di flamenco cadaqueno ai cantanti di indie music globetrotter). Niente  bibite “multinazionali”, niente zucchero raffinato, solo frutta fresca, “tapas” etniche con guacamole o hummous, buona musica
Questo e i cocktail ben fatti (di cui pero’ bonta e tenore alcolico, va detto, variano n base a se li fa Rudi e per chi) ne hanno fatto uno dei punti di ritrovo della ggente ggiovane di Cadaqués, in alternativa al più famoso jazz club S’Hostal (dove, indovinate un po’, passava le sue serate Dali'…) o al fascinoso ma un po’ troppo nostalgico Habana Club dove Nanu ripropone un repertorio di classici spagnoli e francesi un po’…ehm … melancolici. Insomma, al Brown Sugar ci abbiamo passato 3 serate su 4, facendo il più delle volte le ore piccole a bere e a chiacchierare con gente da tutto il mondo, incluso il venditore di rose del Pakistan!


Iturria, C/ Unio. Una accanto all’altra, una galleria d’arte (dell’artista paragueno Ignacio Iturria) e un negozio di abbigliamento di sua moglie, stilista, che propone vestiti e accessori molto originali e carini.

Gemma Ridameya, C/ Unio. Donne, attente! La bottega di gioielleria di Gemma – se non c’è lei ci trovate la sua collaboratrice Magda – è un vero pericolo. I suoi gioielli in argento, legno e pietre (avete presente i sassolini raccolti in spiaggia?) sono semplicemente meravigliosi. Non ne uscirete con il portafogli intatto!

Qualche piccola delusione:

Xiringuito de Port Lligat,  sembra un normalissimo chiosco sulla spiaggia ma poi ti stupisce con piatti a base di foie gras e pesci pregiati. È carino e accogliente, ma le mie seppie a la planha erano annegate nell’olio e nell’aglio. Peccato!

Cuatro, Paseig Maritim 4.  affacciato sulla piazza principale, con un ambiente moderno e curato e un menu ricco e allettante, con piatti di cucina mediterranea altrettanto curati ma poco…veraci, e abbastanza cari. Bello senz’anima.

El Boia, chiringuito sulla spiaggia di Cadaques. A parte il nome, la location è ideale ma sia il pan con tomate della colazione sia le tapas come apertivo sono stati un po’  deludenti!

El Pescador, Calle. Ottima posizione, tono un po’ piu’ elegante, prezzi decisamente piu’ cari della media. Ma a me la paella marinera non è piaciuta, e nemmeno l’escalivada di verdure.