mercoledì 31 agosto 2011

(Altro che) ozi cilentani: breve tour - de force – gastronomico nel Cilento meno conosciuto


Ormai ci siamo, l’estate è praticamente finita: ormai le giornate sulla spiaggia, il sole, le chiacchiere sotto l’ombrellone e i tuffi nell'acqua che piu' blu non si puo' sono gia' un ricordo. Se non si fosse capito, sono decisamente più un “tipo da mare” che da montagna, eppure un paio di settimane fa ho interrotto gli ozi cilentani marinari per passare una giornata alla scoperta del Cilento interno, quello meno noto ma spesso pù interessante, almeno dal punto di vista gastronomico.

Cosi', accompagnata da un’amica pasticcera – ebbene si, ognuno ha gli amici che si merita – anche quest’anno ho compiuto il mio tradizionale tour de force gastronomico alla scoperta del Cilento “di montagna”, di cui avevamo gia’ fatto un “assaggio” andando a Teggiano a trovare Nicola Di Novella, ex farmacista grande esperto di erbe e creatore del Museo delle Erbe, per farci raccontare tutto sulle erbe spontanee del territorio del Parco.

Partenza di buon mattino (almeno secondo i canoni vacanzieri) dirette, come prima tappa, a Giungano, un paesino a breve distanza dalla costa e dai templi di Paestum, che a quanto pare non ha grandi attrattive se – fermateci a domandare indicazioni ad un gentile automobilista locale – ci siamo sentite chiedere “e che ci andate a fare a Giungano?”.
La risposta è: a visitare le Cantine San Salvatore 1988 di Giuseppe Pagano, albergatore e ristoratore di Capaccio con la passione per il vino e le cose fatte bene. Lo avevo conosciuto a Paestum in occasione de Le Strade della Mozzarella e mi aveva colpito per la sua gentilezza e, soprattutto, per il suo ottimo Fiano biologico, una sorta di Gran Cru: il Pian di Stio. Pagano si era messo in testa da un bel po’ di fare vino in Cilento, ma come diceva lui. Ha cercato per anni i terreni giusti per i vigneti (oggi divisi tra Stio e Giungano, appunto), si è affidato a un enologo di fama come Cotarella, ha puntato sulla sostenibilita ambientale (l’azienda comprende un allevamento di bufale, il cui latte è destinato alla produzione di mozzarella e il cui letame va a concimare vigneti e oliveti), ha scelto una comunicazione moderna ed efficace, che strizza l’occhio al passato ma guarda al futuro. E i risultati in bottiglia – dal Pian di Stio al rosato Vetere – sono ottimi.


Proseguiamo per la meta principale della giornata, Corbella, l’agriturismo di Giovanna Voria sperduto in una profonda vallata alle porte di Cicerale, il paese famoso per i ceci. Un posto davvero unico, per l’idea stessa che ne è alla base – fare un agriturismo vero, dove tutto quello che viene proposto è coltivato, allevato, raccolto nei terreni di proprieta’ o nella vallata lungo il fiume, che prendono entrambi il nome dall’antico castello ormai ridotto a un rudere, e riproporre le ricette di una volta, quelle con cui si sfamava la gente di questi luoghi bellissimi e poveri – e per la particolare energia che emana la titolare.

A guardarla oggi, sempre indaffarata tra cucina, libri di ricette, manifestazioni gastronomiche in Italia e all’estero, la famiglia e una figlia lontana con cui si tiene in contatto via skype, sembra impossibile che questa donna possa essere la stessa bambina ritratta nelle foto in bianco e nero alle pareti: Giovanna da piccola portava il latte alle famiglie del paese e aspettava per mesi la mamma lontana che andava a guadagnare I soldi necessari nelle risaie piemontesi, come racconta lei stessa con gli occhi velati di malinconia e tristezza per una mancanza che evidentemente non cessa mai di essere dolorosa.
Sembrano due esseri appartenenti a epoche diverse e lontanissime, eppure si intuisce che proprio un passato fatto di momenti duri e attimi di felicita’ tutti da conquistare è all’origine dell’energia inesauribile di oggi. 

Ceci e fichi, i due “tesori” di queste terre non troppo generose, sono alla base dei piatti proposti a Corbella, declinati in tantissimi modi e accompagnati da altri prodotti “autoctoni” dalle erbe selvatiche ai salumi e carni dei cinghiali allevati allo stato brado sulla collina retrostante. Il menu è lunghissimo e sostanzioso, le ricette raccolte dalle donne di famiglia o del paese e riproposte da Giovanna - con il suo tocco personale ma senza stravolgerle - sembrano essere inesauribili. Si comincia con i fantastici ceci soffiati da sgranocchiare e con le salsette da spalmare sul pane, tra qui quella a base di ceci e mandarini. 

Poi, via agli antipasti: l’acquasala con pomodori e cucunci; le frittelle di salvia, finocchietto, fichi; le melanzanine e gli agrumi sottolio; i salumi di cinghiale; l’insalata di cereali con i gambi di sedano, la buonissima insalata di ceci neri (una varietà autoctona riscoperta da Giovanna) condita con la salvia e l’olio e l’aceto propri, quest’ultimo fatto utilizzando il robusto (e pericolosissimo) vino della casa piu’ miele e erbe. 

Saltiamo ai formaggi e andiamo ai i primi: le sagne fatte in casa con le verdure (taccole e zucchine) e pecorino e il timballo di lagane e ceci con la provola accompagnato da una sorta di zuppa di erbette selvatiche. 
E un assaggio di secondi: il cinghiale in umido e quello in bianco con le cipolle. 
Finalmente il dolce, la versione locale dei “cannoli cilentani” con un involucro leggero e fragrante, farciti per meta’ con una crema al cioccolato e per meta’ con crema pasticcera arricchita da fichi freschi.




Bandiera Bianca, siamo annientate, grazie anche ad un sorso (uno solo!) di quel vino, genuino e traditore.
Approfittiamo di una passeggiata per vedere le belle stanze dell’agriturismo, il pergolato dove stanno seccando i ceci (per un errore si sono mischiati quelli neri e quelli “bianchi”, e sara’ un lavoraccio ridividerli!), i cinghiali con i loro piccoli. Giovanna ci fa vedere qualche baccello di cece fresco – non ne avevo mai visto uno! – e  ci racconta dell’effetti rugiada che fanno sulla pelle quando sono freschissimi, e di come lei amasse da piccola farsene accarezzare, e mangiare i ceci prima che venissero raccolti, facendosi regolamente scoprire dai grandi.

È in posti come questo – rari, ma ci sono ed è bello scoprirli – che capisci che il cibo abbia un suo valore che va oltre l’aspetto nutritivo e gustativo: un insieme di aspetti emotivi, personali, ma anche storici, culturali che lo rendono, davvero, cibo per l’anima.

Riemergiamo da Corbella e dalla sua strada accidentata solo nel tardo pomeriggio, decisamente sazie, ma non resistiamo a un’altra breve sosta: si va a Torchiara, a trovare Raffaele Del Verme, che ha raccolto l’eredita di famiglia portando avanti la gelateria Di Matteo (p.zza Torre, 13-15
84076 S.Antuono d Torchiara, tel. 0974.831012). Sara’ l’insieme dell’accoglienza sempre calorosa, dell’atmosfera del locale che – anche se rinnovato – porta ancora alla mente quella dei “bar di paese” di un tempo, sara’ soprattutto il fatto che tanta esperienza, materie prime di qualita’ e la voglia di migliorarsi sempre danno i loro risultati, ma io trovo questo gelato ogni volta sempre piu’ buono. Assaggiamo due novita’ - limone e basilico, fresco e piacevolissimo, e lo straordinario Mandorle, fichi e alloro – che decisamente “valgono il viaggio”. Ma Raffaele non ci fa andare via senza qualche altro assaggio, tra cui la mandorla… un concentrato di sapore, quasi un frullato di mandorla, con la cremosita’ appena granulosa del gelato che stuzzica il palato… Io non ne ho mai mangiata una piu’ buona.

A dimostrazione che il Cilento ha anche un suo lato dolce assolutamente da non sottovalutare, anche se tutto da scoprire. Basti pensare che a Montesano Scalo, un minuscolo paesino a pochi passi dall’uscita Padula-Buonabitacolo della famigerata Salerno-Reggio Calabria, c’è L'Orchidea, la pasticceria di Giuseppe Manilia, Maestro Pasticcere tra i piu’ raffinati d’Italia. Andatelo a trovare, non ve ne pentirete.

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